L’argia, tra scienza, tradizione e superstizione.

Latrodectus tredecimguttatus (Rossi, 1790), è un ragno (ordine Araneae) appartenente alla famiglia Theridiidae e al genere Latrodectus, nel quale vengono classificati i ragni noti comunemente come “vedove”.

Etimologia e nomi comuni.
Il nome latino significa “prigioniero mordace con 13 macchie”, in riferimento alla pericolosità del morso e alla livrea. Il nome italiano di questa specie è “malmignatta”, o “vedova nera mediterranea”, da non confondere con la congenere nordamericana Latrodectus mactans, la “vedova nera americana”. Alla specie sono state attribuite anche varie denominazioni dialettali. Nell’alto Lazio veniva anticamente chiamato “ragno volterrano”, “falange volterrana” o “bottone”. In Sardegna “argia” o “arza”. Sempre in alcune zone della Sardegna è comune che con questi nomi vengano erroneamente indicati anche alcuni Hymenoptera della famiglia Mutillidae, più propriamente le “formiche di velluto”, coi quali questo ragno condivide una livrea vagamente simile. Probabilmente il tutto è frutto di un antico fraintendimento.

Femmina adulta.
Credits: Instagram post by SpiderShots • Apr 18, 2014 at 3:06pm UTC

Caratteristiche.
Il suo aspetto è caratteristico, tanto da rendere impossibile confonderla con altre specie dello stesso areale. È presente un marcato dimorfismo sessuale. La femmina raggiunge dimensioni molto maggiori del maschio, arrivando ai 15 mm, mentre il maschio, molto più affusolato, tocca i 7 mm. Entrambi hanno circa il triplo della lunghezza in legspan, e le 4 zampe mediane sono più corte delle altre. Principale caratteristica della specie è il corpo nero con le 13 macchie sull’opistosoma (addome), rosse nelle femmine, bianche, gialle o rosate nei maschi, per entrambi i sessi talvolta bordate di bianco. Questa è chiaramente una livrea aposematica, ovvero un avvertimento della sua pericolosità rivolto ad eventuali predatori.
Nonostante l’ampia diffusione, la specie è monotipica, cioè non presenta sottospecie. Le differenze tra esemplari sono perciò unicamente dovute a variabilità individuale.

Maschio adulto.
Fonte: https://forum.aracnofilia.org/topic/20236-santa-teresa-gallura-ot-latrodectus-tredecimguttatus/

Distribuzione.
L’areale è molto vasto, coprendo tutte le coste del Bacino del Mediterraneo espandendosi fino all’Asia centrale, dove però risulta meno comune. In Italia è largamente diffusa, dalla Liguria, seguendo per Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna e molte isole minori di queste regioni. Ci sono anche rare segnalazioni per altre regioni e la presenza del suo habitat ideale fa supporre che sia più diffusa di quanto si crede.

Diffusione di Latrodectus tredecimguttatus. La specie non è presente in tutta l’area dei paesi indicati.
Fonte: https://www.animali-velenosi.it/ragni/malmignatta-latrodectus-tredecimguttatus/

Habitat.
Nonostante non sia una specie sinantropica può raramente essere rinvenuta nei pressi delle case di campagna, ma il suo habitat d’elezione è la bassa macchia mediterranea, meglio se intervallata da zone aride e pietraie. Non disdegna stabilirsi anche in muretti a secco o nella corteccia porosa di Olea europaea (l’ulivo o olivastro).

Biologia alimentare.
Tesse una tela irregolare molto robusta che spesso tradisce la sua presenza all’entrata della tana. La tela ha diverse funzioni di cui la principale è implicata nella cattura delle prede, principalmente insetti di taglia anche di poco superiore alla sua. Quando questi si impigliano, il ragno li morde ripetutamente per ucciderli col veleno. Il veleno costituisce gli stessi succhi gastrici del ragno, il quale successivamente sugge i tessuti liquefatti delle prede, lasciandone solo gli esoscheletri vuoti, che si accumulano così nei pressi della ragnatela.

Coppia fotografata a Santa Teresa di Gallura. Maschio a sinistra e femmina a destra. In alto sono anche visibili i resti di alcune formiche predate.
Fonte: https://forum.aracnofilia.org/topic/20236-santa-teresa-gallura-ot-latrodectus-tredecimguttatus/

Biologia riproduttiva.
I maschi di questo genere quando sono alla ricerca di una femmina non mangiano. Di solito formano una piccola ragnatela nella quale depongono una goccia di sperma. Dopo averne prelevato un po’ con degli speciali contenitori presenti sui loro pedipalpi, posizionano lo sperma nei genitali della femmina. Spesso l’accoppiamento termina con la femmina che divora il maschio (da cui l’epiteto “vedova”). Questo fornirà un surplus proteico per la produzione delle uova. La femmina depone fino a 750 uova divise in gruppi a formare degli ovisacchi che vengono appesi alla tela. L’incubazione dura 14 giorni, dopo i quali i neonati si disperdono. Nei casi in cui sono impossibilitati a farlo, tra i piccoli è frequente il cannibalismo. I maschi raggiungono la maturità in 70 giorni, le femmine in 90. I maschi hanno circa 2 mesi di vita adulta, le femmine arrivano ad un anno.

Ovisacco poco dopo la schiusa e poco prima della dispersione.
Fonte: https://forum.aracnofilia.org/topic/20236-santa-teresa-gallura-ot-latrodectus-tredecimguttatus/

Rapporti con l’uomo.
È una delle 2 uniche specie che hanno un morso di rilevanza medica in Italia (assieme a Loxosceles rufescens, il ragno violino).
La sindrome derivata dal suo morso è chiamata “latrodectismo” ed è legata alla cultura agropastorale. Infatti ci sono molte prove che fosse frequente per chi lavorava in campagna venire a contatto con questo ragno, magari nei momenti in cui ci si riposava nei tipici luoghi che fungono da tana per questi animali. Il veleno è neurotossico e tra i sintomi più comuni sono compresi febbre, forte sudorazione, cefalea, crampi muscolari, in particolare addominali e nausea. Può aggravarsi fino a portare a sintomi cardiologici e renali, allo svenimento o al coma e, molto raramente, alla morte. Il quadro clinico è più grave se il soggetto morso è un bambino, per una questione di massa corporea, un anziano, una persona già debilitata o allergica ad una componente del veleno.
I danni vengono smaltiti nel tempo senza necessità di un antidoto, e si arriva alla guarigione completa in poche settimane o mesi a seconda della gravità. Nonostante questo, in passato si son venute a creare delle credenze secondo le quali, al mostrarsi di questi sintomi si dovesse ricorrere ad alcune pratiche tradizionali. Il malato veniva sotterrato per favorire la sudorazione, che avrebbe dovuto dissipare la malattia, oppure il malato avrebbe dovuto ballare fino allo sfinimento per raggiungere lo stesso scopo. Inutile dire che spesso ciò aggravava lo stato di salute del poveretto, ragion per cui, scomparsa la terapia tradizionale, la mortalità derivata da questa situazione è oggi estremamente inferiore. Queste pratiche erano anche legate ad aspetti esoterici e, più che una cura, spesso prendevano i toni di un esorcismo musicato. Gli aspetti culturali e psicologici del fenomeno sono stati studiati in modo approfondito dall’antropologo culturale Ernesto De Martino intorno al 1950.
Le false credenze relative a questo ragno non si fermano alla sfera medica, ma includono anche un importante errore zoologico. Infatti la responsabilità del suo morso veniva attribuita ad altre specie con cui condivide parte dell’areale e habitat, e che, date le dimensioni e le abitudini girovaghe, tendono ad essere maggiormente notate: i ragni della famiglia Lycosidae, e in particolare Lycosa tarantula, la vera tarantola o taranta. Infatti questi ragni hanno un morso decisamente più doloroso, data la dimensione dei cheliceri, ma completamente innocuo sotto il profilo medico. La stessa credenza ha generato il nome delle tarantelle, danze tipiche del sud Italia, come la pizzica salentina, che mimano le convulsioni del malato di latrodectismo, che in alcune zone veniva originariamente ed erroneamente chiamato appunto “tarantismo”.

Una fase del rituale.
Fonte: http://www.psychiatryonline.it/node/7667

Testo di Mauro Mura.